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di Emanule Tirelli in “IO ACQUA & SAPONE”

La sua foto, mentre allatta sua figlia in panchina dopo aver segnato una meta, ha fatto il giro del web, ma per lei è stato un gesto assolutamente normale. «Gioco a rugby anche se sono femmina, ho una figlia, c’era l’esigenza di darle da mangiare e l’ho fatto. Evidentemente, invece, c’è ancora l’idea che una donna, dopo il parto, pure se sta bene, debba starsene a casa con il proprio figlio».
Alice Fontana ha 28 anni ed è una delle Valkyrie (Coppa Italia regionale a 7) della società Highlanders Formigine Rugby, in provincia di Modena, dove ha iniziato tre anni fa.

Cosa pensi della separazione che viene fatta spesso tra sport maschili e femminili?
«Sono convinta che qualsiasi sport possa essere praticato sia dalle donne che dagli uomini: se un uomo fa danza classica, una donna può anche giocare a rugby. Inoltre, come si dice, non c’andiamo affatto piano. E questo non va considerato uno sport violento. D’altronde, è molto più facile vedere chi si calca gli stinchi durante una partita di calcio. Questo sport è d’impatto, sicuramente, ma molto disciplinato».

C’è anche la tradizione rugbistica del “terzo tempo”.
«Esatto. È immancabile. Siamo rivali in campo fino al fischio finale dell’arbitro, poi ci abbracciamo e andiamo insieme a prendere una birra e a mangiare qualcosa».

Tua figlia ha sei mesi. Come hai fatto a conciliare tutto?
«Quando ho saputo di essere incinta, ho smesso di allenarmi, per poi riprendere un mese e mezzo dopo il parto. È stato abbastanza faticoso, perché ho ritrovato una squadra cresciuta rispetto a quando l’avevo lasciata, e all’inizio, di notte, ho risentito un po’ degli allenamenti. Poi, piano piano, sono ripartita regolarmente. Non è semplice. Magari vedi le tue compagne che, alla fine dell’allenamento, fanno la doccia ed escono insieme. Io invece scappo, allatto mia figlia e faccio la doccia a casa, così lei può addormentarsi a letto. Adesso non è più come prima, ma va bene così».

E con l’allattamento?
«Il mio compagno gioca nella stessa società e, appena sono uscita dall’ospedale dopo il parto, siamo andati al campo da rugby a fare un giro. Quando mi alleno, lui mi segue e sta con nostra figlia nella club house. Se c’è necessità, mi chiama, perché solo io posso soddisfare quell’esigenza. Il mio allenatore capisce e apprezza che vada a giocare e che non resti a casa fino alla fine dello svezzamento. Ma c’è anche da dire che mia figlia sta bene in mezzo agli altri e che mi fa dormire la notte».

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